mercoledì 7 maggio 2014

la modella che non ho scelto


Il casting mi mette sempre a disagio, un po’ come quando sei in albergo e dopo un continuo bussare qualcuno, con un chewingum in bocca, ti chiede se tutto è ok e se può entrare a rassettare  la stanza. Spesso fingo di non sentire e mi nascondo nel volume del primo canale che trovo accendendo la tivù.
Così mi capita di scegliere quasi sempre la prima modella che vedo entrando, di solito quella seduta  sul bordo del divanetto con le due mani che abbracciano il book da dove spunta una cartina della città appena comperata.
Il casting è una falsa promessa di intenti:  il lavoro non sarà così breve, la modella non sarà così paziente.
Tanya stava lì immobile, senza sorridermi mi passò  il book  con metà delle laser copie ancora da inserire.  “Tanto al  casting scegliete sempre la modella che non si presenta” disse come per mettere in un ordine simbolico tutte le sue  fotografie sparse.
Non sapevo cosa dire, abbozzai un colpevole”perché vieni ai casting allora? “Perché ho bisogno di lavorare, non torno  a casa da mesi e appena riesco a mettere via  un po’ di soldi, vado a Parigi e mi lascio Milano alle spalle”.
Eravamo seduti  vicino, la guardai anzi la fissai con attenzione: pantalone rosso tartan, una tshirt nera con dei teschi che mi sorridevano ed un paio di anfibi. Tutto regolare  tranne il suo rossetto , un rosso corallo trovato per caso in fondo alla borsa, steso  velocemente con il desiderio  di sembrare piena di vita.
“In questa città devi essere come un uovo: morbido dentro ma con la crosta” aggiunse delusa.
“ In ogni città devi avere la crosta” dissi io senza farle capire quanto mi piacevano quelle sue mani nervose e quella bocca pasticciata. Passai al book della seconda ragazza, incapace di darle un consiglio credibile.
Ci sono registi che girano sempre lo stesso film, ci sono fotografi che fotografano sempre la stessa ragazza,  anche nei lavori lunghi e difficili,  dove il desiderio si spegne nella voglia di finire, quelli in cui alla sera ci si sente svuotati, abbrutiti .
Così  quel  venerdì scattai con la bella ragazza che non volevo, quella che arrivò  per ultima, trafelata e distratta da un altro lavoro, quella che mi salutò sorridendo con un sicuro accento francese.









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