lunedì 16 settembre 2013

la sindrome di Beethoven



Quell'anno traslocai tre volte.
Il 2004 per capirci fu l'anno degli europei in Portogallo, quando insomma la Grecia decise di dare a tutti una lezione e il solito Pinault comperò tutto quello che profumava di Gucci.

Mi dissero che sicuramente soffrivo della sindrome di Beethoven; sorridevo ma non capivo bene, ricordavo solo  che il musicista sordo a Vienna cambiava continuamente casa, collezionandone una dozzina, una dopo l'altra, arrivando con gli ultimi anni ad abitarne due e più contemporaneamente.

Voglio dire a tutti che per me la musica fu diversa: non ero in cerca di stimoli o di silenzio, ma vissi in due case nel segreto desiderio che tornasse il mio gatto, un siamese castrato di 4 anni, con un mozzicone al posto della coda.

Amavo quel gatto che tanti guai mi aveva procurato, testardo e lontano non promise mai nulla, tantomeno di provare affetto per le"Phantom "arancioni.
Dopo il primo trasloco di giugno tenni così  entrambe le case: la  vecchia ammobiliata dove dormivo nei weekend e la nuova, un piccolo tempio al Vitra Design style, che doveva rappresentare il mio salto di qualità.

Accadde  una sera.  Mentre cercavo a calci un rotolo di scotch tra gli scatoloni,  il ruffiano se ne andò prima di cena. Per comodo, pensai che si fosse perso, che se ne fosse andato, spaventato da non so quale rumore; mi addormentai  assaporando il pensiero di svegliarmi al mattino e di trovarlo rannicchiato dentro all'armadio per fuggire alla calura estiva.

Ma a dicembre  non guardai più nell'armadio e lasciai entrambe le case.
Andai ad abitare dove fermava il 18, in quella vecchia casa di legno con un grande albero, immobile  in mezzo al giardino.